Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e racc...
Il 26 giugno 1984, intorno alle sei del mattino, Francesco D’Alessio, 40 anni, venne ucciso con due colpi di pistola in un appartamento del centro di Milano. A sparare fu una ragazza americana, Terry Broome, 26 anni, arrivata a Milano con l’obiettivo di lavorare come modella. Sui giornali il delitto venne definito “l’omicidio della Milano bene”. Poi si iniziò a parlare del delitto nella “Milano da bere”, riprendendo uno slogan pubblicitario di successo molto citato negli anni Ottanta.
Terry Broome ammise la sua responsabilità, le indagini in questo senso non furono certo difficili. Ma l’attenzione per ciò che era successo contribuì a trasformare il processo in una sorta di indagine sociologica sulla Milano di quegli anni. Si discusse molto dei comportamenti della vittima nei confronti di quella che sarebbe diventata poi la sua assassina e di come e se questi comportamenti potessero prefigurare un’attenuante, e in particolare “l’aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui”. Ma si parlò anche molto di alcol e di droghe illegali, nello specifico la cocaina, di uso, abuso e dipendenza e di come quest’ultima influisca sulla capacità di intendere e di volere. Fu un processo seguitissimo, con il pubblico che manifestò più volte simpatia e comprensione nei confronti dell’accusata. I giornali americani scrissero che in realtà a essere processato era un certo stile di vita. Disse il padre di D’Alessio: «Sembra che qui a essere processata sia la vittima, colui che è stato ucciso».
Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
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55:55
Milano - 26 giugno 1984 - seconda parte
Il 26 giugno 1984, intorno alle sei del mattino, Francesco D’Alessio, 40 anni, venne ucciso con due colpi di pistola in un appartamento del centro di Milano. A sparare fu una ragazza americana, Terry Broome, 26 anni, arrivata a Milano con l’obiettivo di lavorare come modella. Sui giornali il delitto venne definito “l’omicidio della Milano bene”. Poi si iniziò a parlare del delitto nella “Milano da bere”, riprendendo uno slogan pubblicitario di successo molto citato negli anni Ottanta.
Terry Broome ammise la sua responsabilità, le indagini in questo senso non furono certo difficili. Ma l’attenzione per ciò che era successo contribuì a trasformare il processo in una sorta di indagine sociologica sulla Milano di quegli anni. Si discusse molto dei comportamenti della vittima nei confronti di quella che sarebbe diventata poi la sua assassina e di come e se questi comportamenti potessero prefigurare un’attenuante, e in particolare “l’aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui”. Ma si parlò anche molto di alcol e di droghe illegali, nello specifico la cocaina, di uso, abuso e dipendenza e di come quest’ultima influisca sulla capacità di intendere e di volere. Fu un processo seguitissimo, con il pubblico che manifestò più volte simpatia e comprensione nei confronti dell’accusata. I giornali americani scrissero che in realtà a essere processato era un certo stile di vita. Disse il padre di D’Alessio: «Sembra che qui a essere processata sia la vittima, colui che è stato ucciso».
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58:39
Beirut, Libano - 2 settembre 1980
La mattina del 2 settembre 1980 due giornalisti italiani, Italo Toni e Graziella De Palo, scomparvero a Beirut, in Libano. Erano partiti per documentare la guerra che da cinque anni era scoppiata nel paese e per cercare informazioni sul traffico di armi che avveniva in quegli anni tra Italia e Medio Oriente. Quando scomparvero si trovavano nella zona ovest della città, controllata dalle formazioni palestinesi, mentre Beirut est era sotto il controllo delle forze falangiste cristiano-maronite. Toni e De Palo erano partiti per il Libano dopo essersi accordati con l’Olp, l’organizzazione che riuniva tutte le forze palestinesi.
Le indagini sulla scomparsa dei due giornalisti furono lente e difficili, affidate al servizio segreto militare italiano, il Sismi, che tentò di sviare le attenzioni proprio dalla possibile responsabilità palestinese. L’obiettivo era probabilmente proteggere il cosiddetto lodo Moro, l’accordo segreto di non belligeranza tra Italia e Olp.
Ci sono state molte ipotesi negli anni, tra queste che Graziella De Palo e Italo Toni avessero scoperto qualcosa proprio sul traffico di armi che dall’Italia arrivavano in Libano e poi in parte tornavano in Italia, alle formazioni terroriste.
Indagò anche la procura di Roma, ma sulla vicenda venne poi apposto il segreto di stato.
Di ciò che accadde a Graziella De Palo e Italo Toni non si è mai saputo nulla con certezza. Sono passati più di 44 anni.
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9:12
Viareggio – 31 gennaio 1969 – Prima parte
Il 31 gennaio 1969 a Viareggio scomparve un bambino di 12 anni, Ermanno Lavorini. Il suo corpo venne ritrovato il 9 marzo 1969 sepolto sotto 40 centimetri di sabbia sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, in provincia di Pisa.
Lo stesso giorno della scomparsa, con una telefonata, venne chiesto alla famiglia un riscatto di 15 milioni di lire, ma le indagini da parte dei carabinieri si indirizzarono subito verso presunti frequentatori omosessuali della pineta di ponente a Viareggio. Secondo chi conduceva le indagini, Ermanno Lavorini era stato ucciso nel corso di un “festino tra omosessuali”. Tre ragazzi interrogati fecero il nome di una serie di persone, cambiando continuamente versione. Quelle persone vennero fermate, in alcuni casi arrestate, i loro nomi comparvero sui giornali. Sulla stampa erano chiamati anormali, capovolti, mostri. Ci furono tentativi di linciaggio. Una di quelle persone, Adolfo Meciani, completamente estraneo alla vicenda, si uccise in carcere. Si scoprì solo mesi più tardi che la storia era molto diversa da come era stata ipotizzata dagli inquirenti e raccontata dai giornali e che le persone che erano state coinvolte non c’entravano assolutamente nulla.
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48:11
Viareggio – 31 gennaio 1969 – Seconda parte
Il 31 gennaio 1969 a Viareggio scomparve un bambino di 12 anni, Ermanno Lavorini. Il suo corpo venne ritrovato il 9 marzo 1969 sepolto sotto 40 centimetri di sabbia sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, in provincia di Pisa.
Lo stesso giorno della scomparsa, con una telefonata, venne chiesto alla famiglia un riscatto di 15 milioni di lire, ma le indagini da parte dei carabinieri si indirizzarono subito verso presunti frequentatori omosessuali della pineta di ponente a Viareggio. Secondo chi conduceva le indagini, Ermanno Lavorini era stato ucciso nel corso di un “festino tra omosessuali”. Tre ragazzi interrogati fecero il nome di una serie di persone, cambiando continuamente versione. Quelle persone vennero fermate, in alcuni casi arrestate, i loro nomi comparvero sui giornali. Sulla stampa erano chiamati anormali, capovolti, mostri. Ci furono tentativi di linciaggio. Una di quelle persone, Adolfo Meciani, completamente estraneo alla vicenda, si uccise in carcere. Si scoprì solo mesi più tardi che la storia era molto diversa da come era stata ipotizzata dagli inquirenti e raccontata dai giornali e che le persone che erano state coinvolte non c’entravano assolutamente nulla.
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Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.